Sto lavorando nel parcheggio di un centro commerciale (non sono abusivo). È sabato pomeriggio, il momento peggiore. Gente che gira in cerca di un posto libero, macchine parcheggiate come se fosse il primo giorno di scuola guida, clacson che suonano per niente.
E poi arriva lui.
Si ferma davanti alla sbarra, abbassa il finestrino e mi guarda.
“Giovanotto, dove posso parcheggiare?”
Guardo intorno. Il parcheggio è quasi pieno, ma ci sono ancora posti in fondo. Gli indico la zona.
“Ci sono posti liberi in fondo a destra, signore.”
Lui sbuffa. “Ma non c’è niente più vicino?”
Mi volto, controllo ancora. “No, signore, purtroppo qui davanti è tutto occupato.”
“Ma lì c’è un posto,” dice, indicando un’area chiaramente riservata ai disabili.
“Signore, quello è un parcheggio per disabili.”
“Eh, ma io sto solo cinque minuti.”
Respiro profondamente. “Non si può, signore.”
Lui sbuffa di nuovo, scuote la testa e ingrana la marcia.
“Vabbè, mi arrangio.”
E parte.
Ora, io so già come finirà.
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