Sabato mattina.
Sole, silenzio, un po’ di radio classica in sottofondo e l’odore di carta nuova che ti fa venire voglia di comprare quaderni anche se non studi da 20 anni.

Entra un signore elegante, aria da professore in pensione o poeta fuori tempo massimo.
Sorride e mi dice:

“Buongiorno, cerco graffette etiche.”

Io mi blocco.

“In che senso?”
“Quelle che non si piegano male.
Che tengono il foglio con dignità.
Non come quelle moderne che si spaccano o si arrendono al primo foglio spesso.”

Annuisco, con lo stesso spirito con cui si ascolta un amico che parla della sua ex.
Gli mostro tre modelli: normali, zincate, colorate.
Lui le osserva come se stesse scegliendo un’anima.

“Queste sembrano aggressive.
Queste troppo frivole.
Queste… non mi danno fiducia.”

Poi ne prende una, la tiene tra le dita come una reliquia.

“Lei pensa che una graffetta possa avere un’etica professionale?”