La mia lettera, purtroppo, non è allegra né ironica.
Mi chiamo Ilaria, ho 40 anni e sono sposata da un anno. Amo alla follia mio marito e la nostra vita, che come quella di tutti si è fermata da circa un mese.
Ogni giorno, mi reco al lavoro in uno dei pochi uffici postali rimasti aperti in questa Torino spettrale. Nel mio ufficio postale non abbiamo i vetri e si fa una fatica enorme a chiedere alle persone di rispettare anche solo la distanza di sicurezza.

La quantità di lavoro è triplicata perché accogliamo posta, pacchi e clienti di altri tre uffici postali di zona, e su 7 operatori ne abbiamo solo 3 per le varie ferie, malattie, 104, etc.

Cerchiamo di dire, perciò, alle persone che la maggior parte dei servizi di Poste Italiane non sono esclusivi, che si può andare anche in tabaccheria e al supermercato, che le bollette sono sospese e che le raccomandate stanno in giacenza 30 giorni.

Che non è il momento di avere paura per i propri risparmi, che non toglieremo i soldi dai conti correnti, che non è il caso di chiudere conti e libretti o di comprare Postepay per giocare online alla Play.
Le persone, però, rispondono con arroganza e strafottenza nel migliore dei casi, spesso con violenza.

Gli uffici non vengono sanificati da anni, a parte un’oretta di pulizia specifica circa tre giorni fa.
Non ci hanno dato guanti, disinfettanti, spray, gel,..
Nulla.
Solo una schifosa mascherina.
Una. A testa.
Una sola.
Per questo motivo, vado al lavoro tutti i giorni come se andassi in guerra, impaurita e già stanca, e torno a casa distrutta. Ho voglia di piangere, di trattare male il mio povero marito che invece è bloccato a casa con pochissimo telelavoro, di mangiare schifezze e di dormire.
Non mi sento meno eroica del personale ospedaliero, perché io non sto salvando vite, forse, ma sto contribuendo a renderle più normali.

Insomma, non va bene.
E non so come affrontare questa nuova settimana.