Supermercato.
Sono quindici giorni che la tizia mi accenna all’acquisto di una cassetta di uva “amarissima” ma non può spiegare meglio perché ha “frettissima” e tornerà quando avrà tempo. Mentre sono in cassa che batto spese con le braccia a mulino, la scorgo da lontano che mi fissa e appena si accorge di avere la mia attenzione mi parla col labiale che mi fa immaginare perfettamente il suo timbro di voce, con le dita mi disegna un rettangolo per aria e capisco perfettamente le parole chiave: “uva” e “amarissima”.
La scena mi crea stress e una manciata di herpes. Come da copione, si avvicina ma ovviamente ha “frettissima” e mi aggiunge ogni volta qualche mezza frase per farmi capire il dramma di quell’acquisto e la nostra infinita colpa nel vendere simili cose “cattivissime”. “Senta, guardi, ora non posso che devo andare, ma ho preso quell’uva tempo fa ed era immangiabile, cattivissima!”
Ma non si limita all’abuso dei superlativi assoluti, sfodera anche una mimica facciale dove interpreta disgusto, disperazione e disagio. Quell’uva era per suo papà, che la gradisce tanto e quella sera ha dovuto ripiegare sulle pesche nettarine buonissime, certo, le aveva acquistate per fortuna dal suo fruttivendolo di fiducia e non qui, ma avrebbe voluto l’uva che invece era “terrificante” che aveva comprato da noi! Come da regolamento, con le due sillabe che riesco a inserire in mezzo alla sua commedia teatrale da prima serata al Carlo Felice, la rassicuro ogni volta che avrà un buono reso ma ho bisogno dello scontrino.
“Guardi, vado che ho frettissima, ma appena possibile torno per il reso, perché davvero, era una cosa abominevole.” Scandisce pure le sillabe.
In quindici giorni la tarantella si sarà ripetuta almeno cinque volte.
Ormai la temo come un malanno di stagione.
Una mattina, mentre sono in ufficio che lavoro al pc, avverto uno spostamento d’aria come nelle gallerie ferroviarie poco prima che esca il treno: eccola in arrivo sul primo binario con i tacchi cigolanti.
“Eccomi! Si ricorda di me? Sono quella della cassetta d’uva immangiabile e cattivissima.”
Ormai il mio sistema nervoso la considera il nemico numero uno e a quell’apparizione l’istinto mi ordina di barricarmi dietro la scrivania. “Buongiorno signora, certo che mi ricordo di lei…” e smetto di parlare perché tanto so che nel copione non sono previste mie battute. “Guardi, io in tutta la mia vita un’uva cattivissima così non l’ho mai assaggiata, una cosa indecente ed era anche in offerta!”
Mentre va avanti nella critica, la osservo nella mimica teatrale degna della Commedia Napoletana: ora si mette le mani sul collo per rafforzare il senso di “vomitevole”, poi spalanca gli occhi e scuote la testa per dare enfasi al “velenosa”, ecco che mima con le mani sugli occhi e i denti stretti il rischio di un attacco nucleare, adesso con la bocca a c**o di gallina e gli occhi a girandola interpreta lo “stupore” del padre per una cosa così disgustosa, che in ottant’anni mai aveva assaggiato.
Tento di inserirmi fra il primo e il secondo atto, ma non serve a nulla, lei continua per alcuni minuti gesticolando senza sosta e finalmente, esausta, mi porge lo scontrino.
Colgo al volo l’occasione del suo sfinimento per farle presente alcuni aspetti importanti dei nostri prodotti, fra i quali le garanzie di controlli severi sulla loro genuinità etc.
La cliente mi guarda, o meglio, guarda nella mia direzione alzando e abbassando la testa e sono lusingato dell’attenzione che mi dedica.
Io continuo nella mia retorica a difesa dei prodotti a marchio aziendale, sfodero tutte le mie conoscenze sulle merceologie, ma ora lei, dopo aver annuito diverse volte, noto che che inizia a spostare la testa da destra a sinistra. Lo interpreto come un atteggiamento contrariato e mi fermo. Pure lei si blocca e spalanca gli occhi a palla, schizza con lo sguardo verso l’alto e urla: “Stia attento che ha un affare enorme che le vola dietro la testa!”. Di colpo capisco il motivo della sua attenzione, mi volto e vedo una cimice che si posa sul monitor del pc. Con un pezzo di carta riesco a buttarla fuori e la signora rientra in scena con una domanda accompagnata da una risatina ironica: “Mi scusi se mi permetto, ma mi dica, quante cassette di quell’uva indefinibile le hanno restituito in questi giorni?”
“Nessuna signora, solo lei, anzi ne abbiamo venduto a quinta…” e non riesco a finire. La risatina diventa una risata sarcastica sguaiata che sfiora il satanico, la performance la impegna non poco perché le vene del collo diventano due grondaie: “Quindi mi vuole far credere che nessuno si è lamentato di quel veleno?!”
“No signora, solo lei…” Riparte con la risata e inizia a criticare anche tutti gli altri reparti dove ci consiglia di migliorare il servizio, la qualità etc. A quel punto la interrompo con una domanda che mi sgorga fuori dal cuore come uno zampillo dalla sorgente: “Mi perdoni se la interrompo, ma lo sa che a ottocento metri da qui hanno aperto un fantastico supermercato? Nuovissimo! Prezzi bassi e qualità eccellente, hanno un’uva che pare finta tanto è bella.”
La commediante allora si ammutolisce, ha capito dove la sto indirizzando e pare abbia un attimo i lucidità: “Non è che mi sta dicendo che se non torno è meglio?” è il momento di affondare il colpo: “Vede, se ci considera degli incapaci e dei truffatori credo che sia anche a suo vantaggio, se non torna è meglio per tutti.”
Mi fissa per un istante e conclude: “Forse ho esagerato, credo di doverle delle scuse.” “Scuse accettate, ecco il suo buono reso!” la tizia afferra il pezzo di carta e si allontana con una fretta del diavolo. Oggi non si è vista, ma sono certo che non tarderà ad arrivare, in fondo ci vuole bene.
“Sii come l’acqua che si fa strada attraverso le fessure. Non forzare, ma adattati all’oggetto, e troverai un modo per aggirarlo o attraversarlo.” (Cit. Bruce Lee)
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