Lavoro in una biglietteria teatrale, vendiamo biglietti delle nostre stagioni locali, ma anche di tanti altri eventi.
Piena estate, mesi pesanti tra il tanto lavoro ed il tanto caldo, stanchezza ai massimi livelli, pazienza ai minimi. Arriva lei, signorotta del tipo “di cultura io so già tutto, cosa, dove, quando e soprattutto come”.
Dopo una breve trattativa, sceglie il posto e io le chiedo nome e cognome. Apriti cielo! Sì che il luogo dove si svolge l’evento ha una capienza tale per cui il biglietto poi non è strettamente nominativo, ma io sono obbligata dal sistema ad inserire un’anagrafica.
“Che cosa ci fate col mio nome? Io non ve lo dico! Non avete rispetto per la privacy!”
Parto in modalità diesel, le spiego che me lo chiede il sistema, che nessuno può accedere ai dati, che sono questioni di sicurezza, ma alla fine sbotto.
Con l’aria più angelica, e sadica al contempo, le dico:
“Ma signora mia, se il teatro va a fuoco e lei muore carbonizzata, solo incrociando i dati tra il posto riservato ed il suo nominativo si potrebbe avere la certezza che il cadavere probabilmente irriconoscibile sia il suo!”
Guarda un po’ come si è sbrigata a dirmelo come si chiamava…
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