Londra.
Premessa: il cliente ha 28 giorni per cambiare l’articolo/ottenere il rimborso, a patto che abbia lo scontrino e la merce sia in buone condizioni, quindi rivendibile (a meno che non si tratti di articoli difettati).
Un signore sulla sessantina, in abiti firmati, chiede di parlare con un supervisore.
Mi presenta un capo sportivo estremamente vecchio (abbiamo ritirato quel golfino in pile a gennaio), dichiarando di averlo indossato solo una volta e che con un solo lavaggio si è infeltrito.
Lo stato è pietoso: puzza di calzini sudici misto a cipolle rancide, è pieno di peli di animali e ha i pallini sotto le ascelle (segno evidentissimo di usura).
Penso: “Credi veramente che io sia cretina?” come se io non sappia distinguere un capo difettato da uno usato e stra usato.
Con gentilezza, gli faccio notare che, non solo sono trascorsi 5 mesi, ma che, non trattandosi di un capo difettato, non posso rendergli i soldi o cambiarlo.
Cortesemente, rifiuto ancora e il cliente, esplode: non solo mi dà della deficiente perché donna, ma anche perché “You are Italian, you don’t understand what I’m saying!”
Un altro cliente in coda si intromette nella conversazione e lo liquida dicendogli: “Lei non può mandarti affanculo perché sta lavorando, ma io sì.
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