Lavoravo come portiere notturno in un albergo e il mio turno cominciava alle 22.
Appena arrivato, noto subito qualcosa di strano: c’è una macchina parcheggiata proprio dinanzi alla hall; strano, poiché il parcheggio per gli ospiti è da tutt’altra parte.
Mi informo con la direzione e mi dicono che il cliente in questione è appena arrivato ed è andato in “esplorazione” dell’hotel e che ha garantito di spostare l’auto in tempi brevi. Dopo 35 minuti è ancora lì, quindi cerco di capire dove si sia cacciato il tizio; gli animatori mi dicono che si è tranquillamente addormentato a bordo piscina, senza disdegnare di tirare qualche scoreggia, così, per gradire. Allora mi faccio coraggio e scendo per dirgli che la macchina va spostata.
Signore, mi scusi il disturbo, lei alloggia nella camera [numero]?
Sì, sono io.
Bene, dovrebbe, per favore spostare la macchina e posteggiarla nel parcheggio adibito agli ospiti.
Ma io non ho nessuna macchina.
Gli chiedo di seguirmi per capire quale sia il disguido.
Arrivati davanti all’oggetto del misfatto gli chiedo: “Questa non è la sua auto?”
No, questa è di mia moglie.
Bene, già lì avrei dovuto aprirgli le gengive a testate, ma vabbè.
Seconda sera: la signora, moglie del tizio e, a quanto pare, proprietaria dell’auto di cui sopra, mi chiama dalla stanza, perché, a suo dire, il condizionatore non rinfresca.
Ora, per correttezza devo dire che quell’estate è stata torrida, la sera alle 23 c’erano ancora più di 30°.
Quindi credo subito a un guasto, già sudando, oltre che per il caldo, anche perché non ho idea di come riparare il danno.
Entro in stanza e mi si congelano persino i calli sotto i talloni: il condizionatore non solo funziona, vivo e vegeto, ma è pure impostato a 15° e fa un freddo che Alaska levati proprio.
Chiedo spiegazioni a riguardo e la signora, candidamente, mi dice: “No è che io sono in menopausa e sono sempre accaldata.”
Bestemmie interne anche quella sera.
Ma non è finita qui, perché, alle 3:15, ricevo un’altra telefonata e subito mi si palesano davanti immagini di possibili drammi famigliari/malattie infantili/rotture di tubature/morte violenta: invece sono ancora loro.
Mi dicono che sentono uno strano rumore provenire dal balcone.
Andiamo a controllare, ma stavolta senza più nessuna fiducia nel genere umano.
Appena entro, oltre al solito clima polare, capisco subito quale sia il fantomatico rumore che lamentavano, ma lascio che siano loro a spiegarmi.
Lui mi accompagna sul balcone e mi dice: “Sente? non capisco proprio cosa possa essere!”
Signore, ma lei ha un condizionatore a casa sua?
Certo.
E il motore del suo condizionatore non produce alcun rumore?
Si scusa e mi lascia andare.
Terza e ultima disavventura con ‘sti due (anche perché sono rimasti solo 3 giorni, altrimenti non so dove saremmo arrivati): vengono al bar della hall e li servo io (fortuna sfacciata).
Mi chiedono una bottiglia d’acqua, ma non di frigo, bensì a temperatura ambiente, perché a loro non piace l’acqua fredda. Mi avvio nel magazzino, caldo infernale, mi addentro nella giungla delle bevande, raggiungo l’agognata meta, sudo, ritorno al bar che ormai sembro Phelps alla ventinovesima vasca, espongo il più finto sorriso del mondo e gli porgo la bottiglia:
Grazie mille. Mi potrebbe dare anche due bicchieri per l’acqua? Pieni di ghiaccio, per favore.
Non ho mai avuto così tanta pazienza in vita mia.