Turno del sabato pomeriggio.
Locale pieno. Due feste in contemporanea: una tranquilla con 12 bimbi educati e genitori normali.
E poi… l’altra.
Arriva questo signore.
Scende dal SUV con passo teatrale, poi apre il bagagliaio e tira fuori:
– 1 torta a tre piani
– 2 palloni gonfiabili giganti
– 1 cartellone con scritto: “Il compleanno di Mattia: l’evento dell’anno”
Ci guarda e fa:
“Non preoccupatevi, qui ci penso io.
Tavolo, palloncini, musica: voglio qualcosa che stupisca anche me stesso.”
Io e la collega ci scambiamo uno sguardo tipo: Eccoci.
Gli diciamo che può sistemare la roba nel suo spazio riservato.
Lui bofonchia qualcosa tipo:
“Spero che l’altro compleanno non rovini l’atmosfera. Mio figlio è molto esigente.”
Già cominciamo male.
Durante l’ora successiva ci tratta come camerieri personali:
– ci fa spostare i tavoli tre volte
– cambia playlist cinque volte (“Meno baby dance, più carisma”)
– chiede un microfono “per il discorso”
– continua a chiamarmi “Gioia” o “Ciccia” dicendo di muoverci e di lasciar perder l’altro compleanno.
Poi, quando la festa entra nel vivo, accade il miracolo.
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