Non cercava una cucina, cercava una scenografia.
Aveva un budget generoso e idee chiarissime: niente forno, niente microonde, niente desiderio reale di cucinare.
Solo linee pulite, superfici che riflettano luce e una cucina che potesse esistere anche senza essere usata.
Mi ha specificato ogni cosa con precisione: dove non voleva il lavello, che tipo di maniglia non doveva esserci, che sensazione doveva dare il top al tatto — “ma non troppo, eh, non deve sembrare che stai toccando qualcosa di vivo”.
A un certo punto mi è stato chiaro che quella cucina non doveva servire a vivere, ma a raccontare una storia.
Una storia dove il protagonista non cuoce nulla, non sporca mai e forse, se potesse, toglierebbe anche il rubinetto, purché ci fosse una linea d’acqua evocativa sul render.
L’unica funzione concreta richiesta era uno spazio comodo per il tostapane.
Che avrebbe usato solo per “scaldare un pane buono” ogni tanto, se proprio.
Alla fine, ha scelto un modello bellissimo. Laccato, lineare, con un vano dove solitamente va il forno che lui ha voluto lasciare vuoto, per “respirare meglio visivamente”.
Quando mi ha inviato la foto a lavoro finito, il vano era riempito con un cestino in vimini e un vaso di rami secchi.
Sopra, un libro d’arte.
La cucina era perfetta.
Ma sembrava che avesse paura di essere usata.
Eppure, era esattamente ciò che voleva: una cucina che dicesse “potrei anche cucinare, ma non oggi”.
A me non resta che pensare che in fondo, per certi clienti, il design è il nuovo frigorifero emotivo: tutto deve restare fresco, distante, impeccabile.
E il forno?
Beh, il forno era solo un’idea da evitare.
Con cura.
E sono d’accordo con molti di voi: ognuno con i suoi soldi fa quello che vuole, ma solo a me pare strano?
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