La piscina comunale, in cui lavoravo, sta in un complesso dove si trova anche una Casa di Cura per anziani, ma naturalmente non hanno nulla a che fare l’uno con l’altro.
L’unica cosa che hanno in comune è il parcheggio.
Finita la mia giornata, mi dirigo a prendere l’autobus, quando sento un clacson strombazzare verso di me.
Non ci faccio caso, proseguo, ma questo si fa sempre più insistente. Mi volto a guardare e vedo che si tratta di un furgoncino che ce l’ha proprio con me.
Alla guida una signora di mezza età e, sulla fiancata, come una maledizione, la scritta ‘Poste Italiane’.
La signora accosta e mi urla dal finestrino: “Scusaaaaa ma tu lavori qui?”
Credendo che voglia semplicemente chiedermi indicazioni, le rispondo di sì.
Senti, io c’ho questabbbbusta -immaginatevela parlare tipo Eros Ramazzotti- tutta agitata sventola in aria questa strana busta verde chiaro, su cui leggo il nome della Casa di Cura. “Gliela puoi portare tu?”
Resto basita per qualche secondo, nell’incertezza se sia legale quello che mi sta chiedendo e rispondo: “Ah… ma, signora, io lavoro nello stabile a fianco, mi spiace.”
Eh, ma non è la stessa cosa?
No, signora, è proprio un altro edificio.
Eh vabbè, ma sei appena uscita, non glielo puoi consegnare tu? Non c’è una portineria? indica la guardiola della sbarra all’uscita.
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