Grazie, innanzitutto, per questa opportunità che secondo me è molto importante, soprattutto per chi ha bisogno anche di sfogarsi oltre che raccontare eventi della propria vita lavorativa.
Premetto che scrivo da Conegliano (TV), centro di piena zona rossa.
Per fortuna, lavoro in smart working (essendo un’impiegata in una società finanziaria, seppur solo in via telefonica, sono in contatto ogni giorno con clienti che chiamano da tutta l’Italia), ma vorrei raccontare l’altra parte della barricata, ossia la paura dei clienti, della gente.
Spesso succede che nel lavoro con il pubblico si diventi anche un po’ consulenti psicologici, specialmente in questo periodo.
In particolar modo, mi ricordo di una telefonata di ieri pomeriggio fatta ad un ragazzo di 23 anni con cui ho chiacchierato un po’ mentre aspettavo che mi inviasse dei documenti. Parlando della situazione attuale, mi ha confessato di essere terrorizzato. Oltre alla paura del contagio e di poter morire, ciò che più lo spaventa è il dopo, non sapere cosa ci sarà dopo e se ci sarà un dopo.
Lui, un ragazzo di 23 anni, precario, in scadenza contratto, non sa nemmeno se la sua azienda riuscirà a tenere aperto dopo questa pandemia; lui che, vivendo da solo, non ha idea di come riuscirà a pagarsi l’affitto; lui che, come tanti altri di noi che sono nella sua stessa situazione, prova a cercare risorse interiori inimmaginabili pur di farcela.
Le paure bisogna affrontarle per sconfiggerle e credo che nessuno di noi meriti di affrontarle da solo. Bisogna essere uniti, senza diversità di culture, genere o lingua: di fronte alla paura siamo tutti uguali.
Tiriamo fuori le migliori risorse che ognuno di noi possa offrire, aiutiamo a sconfiggere il colosso che ci tiene tutti bloccati e radicati nell’angoscia.
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