Cercando di buttare giù il boccone amaro, rispondo: “Signora, lei sta consumando del cibo. E non poco, aggiungerei. Questo cibo deve pagarlo.”
Poi mi viene in mente un compromesso.
Facciamo così, signora: a sua figlia ho applicato uno sconto, faccio a prezzo pieno la sua bevanda, così è come se divideste un apericena in due.
(Non si potrebbe fare, ma evitiamo di litigare e andiamo incontro a questa matta facendola risparmiare.)
Mai lo avessi detto.
Questa, con occhi che quasi schizzano fuori dalle orbite, sbraita: “LA MIA BAMBINA AVREBBE PAGATO?! MA È UNA BAMBINA! UNA BAMBINA!! QUANDO VADO AL RISTORANTE, ALLA MIA BAMBINA, NON FANNO PAGARE NULLA!!!”
E qua tolgo ogni mio filtro e rispondo seraficamente: “Molto bene, signora, lei è molto fortunata ad andare in questi tipi di ristoranti, non poteva andare lì anche questa sera?” (Avrò sbagliato, ma chissene.)
Dopo avermi minacciato di farmi licenziare, di fare recensioni negative, di far chiudere il locale (in tutto questo pure la sorella aveva iniziato a difendere la consumazione non gratuita di sua nipote), ecco che arriva il mio titolare.
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