Conclude invitandomi a salire a casa sua per rendermi conto della situazione.
Oh, a me sembrava assurdo perché comunque di tutto sto casino noi non sentivamo manco l’eco, ma d’altronde, non sarà mica pazzo mi dicevo no?

Salgo su, mollando la cucina a fine servizio perché sia mai che abbandoni una donzella con prole in mezzo ai “rumori della guerra” (cit. del donzello.)
Mi apre sta signora, che per essere in trincea non mi pareva così sconvolta.
Comunque, subito inizia dicendo:
“Grazie per essere salito, guarda mi dispiace ma davvero non si può stare, guarda vieni a sentire tu stesso.”
“Tranquilla ci mancherebbe, mi faccia sentire che così posso finalmente dire al proprietario di far qualcosa.”

Arriviamo in cucina, finestra chiusa “per il rumore”:
“Ecco, senti?”
“Mmmh… No…”
“Sicuro perché la finestra è chiusa…ora senti?”
“A dire il vero no…”

Mi avvicino alla finestra, mi sforzo di sentire. Macchine in lontananza, uno sportello che si apre e chiude, nient’altro. Proprio zero.
Non capisco, la guardo, no, non sta scherzando.
Mi sforzo ancora di più, e ad un certo punto sento un suono sordo, tipo una specie di rantolio breve e soffocato.

“Ma, dice questo rumore ritmico che sento? Tipo un grattare di ingranaggio…”
“Mmm, no. Questo è mio figlio che russa nell’altra stanza.”
Giuro, non l’ho guardata in faccia perché in quel momento la mia espressione era tipo quella dei manga, scuri in volto e con la gocciolina che scende dalla fronte. Impossibile simulare indifferenza.
“Aspetta vado a chiudere la porta.”
“Ok…”