Oggi è lunedì, ma la gente è già di venerdì isterico.
Alle 18:40 arriva un SUV grigio topo, modello “ho fretta ma non abbastanza da non spiegarti tutto quello che ho fatto oggi”.
Scende un tipo sui 50.
Mi fa un cenno col dito come se dovessi intuire.
Dice solo:
“Lavaggio rapido. Ma bene, eh.
Senza graffiare la carrozzeria e occhio ai sensori, sono delicati.”
Annuisco.
Cerco di spiegargli che usiamo spazzole antigraffio, schiuma attiva, tutto regolamentare.
Lui mi interrompe:
“Sì, ma poi asciugatela meglio rispetto all’altra volta.
C’era un alone.
Che solo io ho notato, eh. Ma c’era.”
Controllo il vetro.
Ci sono schizzi secchi di terra, macchie di resina, impronte digitali non umane.
Sembra uscito da un rally nei boschi dopo un picnic con tre bambini e un pastore tedesco.
“In realtà sarebbe da fare un prelavaggio completo.”
Lui mi guarda come se gli avessi detto che deve consegnare un rene.
“Eh no. Io ho preso il buono da 6,90.
Ma me lo fate bene lo stesso, giusto?”
Respiro.
Lo stesso respiro che salva il mondo da una crisi diplomatica ogni tre minuti.
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