Sai cosa impari al bar?
Non a fare il caffè, quello lo impari in una settimana.
No, impari la gente.
Tutta.
In ordine sparso, come i cucchiaini nel cassetto.
Quello che viene ogni giorno alle 7:04, si siede, guarda fuori e non dice mai “buongiorno”.
Ma guai a sbagliare la tazza.
Perché “io lo prendo sempre in quella bianca col bordo rotto.”
Ah beh. Allora.
Poi c’è la signora con le scarpe rumorose.
Cammina come se stesse entrando in tribunale.
Chiede l’orzo… “ma decaffeinato”.
Allora le dico:
“Signora, o è orzo, o è decaffeinato. Sono due cose diverse.”
Lei sospira, come se l’avessi delusa profondamente.
“Faccia lei, ma mi raccomando, senza caffeina.”
Allora le do un bicchiere d’acqua tiepida.
Non se ne accorge.
Poi ci sono quelli che vengono solo quando piove.
Perché il bar, sotto la pioggia, è rifugio e confessionale.
Ordina un marocchino e intanto ti racconta del fratello che non vede da dieci anni.
Tu stai montando il latte e pensi:
“Dove lo metto questo dolore? Nella tazzina o nel piattino?”
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