Negozio di biciclette.
Ore 16:00, apertura pomeridiana.
Entra una signora in cerca di una bici per lei, dopo vari sforzi ne sceglie una.
A quel punto ci vogliono altri 30 minuti per scegliere il colore del cestino in regalo.
Le dico il prezzo e le applico il massimo sconto che il titolare mi permette di applicare.
Eh no! È ancora troppo; io non avevo intenzione di spendere tutti questi soldi. Chiamami il titolare.
Le spiego che non mi è permesso contattare il titolare, poiché i prezzi non sono trattabili, ma niente: “E invece per me lo chiami, io sono io!”
Inizia un tira e molla infinito, durante il quale la mia professionalità comincia a vacillare.
Io non ho niente da fare, posso stare qua fino a stasera.
E, incredibilmente, si mette davvero davanti alla cassa senza muoversi.
Signora, guardi che ho da fare.
Ah sì? E che cosa devi fare? Tanto tu che fai qua dentro? Niente.
La guardo male per farle capire che non sono affari suoi, comincio a ignorarla, ma lei è sempre li.
Ormai sono quasi le 18 e per me è una questione di principio: quella bici non esce da qui a 1 euro in meno.
Entrano altri clienti e, mentre li servo, lei comincia a dare le sue opinioni sulle bici, interrompendomi tante di quelle volte che i clienti cominciano a pensare che lavori qui.
Poi riparte all’attacco: “Sei una poveraccia, manco 10 euro mi togli! Che sono per te 10 euro?”.
(Più o meno quello che sono per lei, signora. Io non glieli voglio togliere e lei non me li vuole dare).
Alle 18:30, dopo due ore di agonia, si decide a pagarmi la cifra intera, minacciandomi però di farmi una recensione negativa.
Smithers, libera i cani.
Due giorni dopo, mentre ero fortunatamente in ferie, è tornata a cambiare la bici con una più costosa e ha fatto la stessa identica scena, sempre senza risultati, con il mio collega, dicendogli: “La ragazza dell’altra volta era antipatica e cattiva, glielo devi dire!”
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