Quando è entrato, portava sottobraccio una tavola bruciacchiata, annerita e molle, come fosse un cucciolo ferito.
Si è piazzato davanti al banco e, con aria seria, ha detto:

“Mi serve il necessario per rimettere a nuovo il mio barbecue.
Ci sono affezionato. L’ho progettato io.”

L’ho guardato.
La tavola sembrava ridotta a trucioli bagnati, con uno strato di grasso che raccontava tutte le salsicce del 2012.

Gli ho chiesto com’era strutturato.
Mi ha fatto uno schizzo su un pezzo di cartone, dicendo frasi come:

“Questo è il braciere ventilato passivo.”
“Qui avevo previsto una zona zen per il riposo della griglia.”

A occhio sembrava più un incrocio tra un comò e una culla da giardino.

“Mi serve qualcosa che lo impermeabilizzi. E magari anche lo renda ignifugo.
Perché, sai… col tempo ha preso fuoco tre volte.”

Tre.
Volte.

Gli ho proposto materiali nuovi, legni trattati, addirittura un barbecue prefabbricato, in saldo.

“No no, io lo voglio rimettere in sesto.
La struttura è buona.
È solo… vissuta.”