Allora, senti questa.

C’è questa chiesa in paese, classica chiesetta di provincia, niente di strano. Però dentro c’è **Oreste**, un gatto tigrato grosso come un cuscino, che vive lì da anni. Nessuno sa bene da dove sia spuntato, ma il vecchio prete, Don Augusto, l’aveva adottato e ormai era di casa. Se ne stava in sacrestia, dormiva sui banchi, ogni tanto si faceva accarezzare dalle vecchiette e quando aveva fame rubava l’ostia direttamente dal piattino, con la delicatezza di un ladro professionista.

Poi, un giorno, Don Augusto va in pensione e arriva **Don Marco**, un prete giovane, tutto preciso, tutto ordinato, che appena vede Oreste chiede:

**“Scusate, perché c’è un gatto in chiesa?”**

Il sagrestano, senza nemmeno alzare lo sguardo: **“Ah, lui è Oreste.”**

Ora, chiunque altro avrebbe capito al volo che Oreste non si tocca. Ma Don Marco era nuovo e pensava di poter mettere ordine. Quindi parte in missione per sbarazzarsi del gatto: prova a chiuderlo fuori (niente, Oreste trova sempre un modo per rientrare), lo chiude in sacrestia (miagolii strazianti fino a quando qualcuno si impietosisce), cerca di convincere i fedeli che **“un gatto sull’altare non è proprio igienico”** (occhiate gelide in risposta).

E poi arriva **la domenica della messa solenne.**

Tutto pronto, chiesa piena, coro in grande spolvero, Don Marco che parte con l’omelia.