Mi autodenuncio: sono stata una commessa cafona. A mia discolpa ero giovane, avevo quasi 16 anni e adesso, a 28 anni, non rifarei mai una cosa del genere.

Andavo a scuola ovviamente, ma la domenica mi piaceva dare una mano con la vendita nella pasticceria di famiglia.

Ero al bancone con mia nonna ed entra un signore un po’ anziano con la faccia imbronciata.

Mia nonna mi dice sottovoce che era un cliente abituale, ma che non era esattamente una persona molto gentile.

Non mi faccio scoraggiare e mi accingo a servirlo.

“Buongiorno signore, mi dica.”

“Dammi 8 paste.”

“Certo, quali desidera?”

“Dammi due di qué.”

“Signore, purtroppo non riesco a vedere quale mi sta indicando esattamente, quale bignè preferisce? Al pistacchio, allo zabaione o alla nocciola?”

Proprio due minuti prima, una collega aveva fatto cadere dello zucchero a velo su un ripiano della vetrina, di conseguenza lo aveva rimosso e lo stava pulendo in laboratorio e aveva momentaneamente spostato le crostate che erano normalmente esposte lì, sul ripiano inferiore. Ciò mi impediva di vedere la mano del cliente che, invece di dire che pasta volesse, me la stava indicando col dito sulla vetrina.

Confidavo molto nella comprensione del caro signore, ma mi sbagliavo.

Continuando ad indicare, continua a ripetere: “Qué, dammi qué.”

Decido di provare ad indovinare, prendo a caso quello al centro, allo zabaione.

“Noooo, quello!!!” mi dice sempre indicando.

Prendo quello alla nocciola, lui non dice nulla, e deduco di averci azzeccato, ma gli ripeto comunque: “Signore, provi magari a dirmi se la pasta che desidera è quella al centro, quella a destra o quella a sinistra, perché davvero non vedo il suo dito, purtroppo.”