Lavoro in questo supermercato da più di quarant’anni. Ne ho visti passare di ragazzi giovani, alcuni bravi, svegli, con la voglia di imparare. Altri… be’, altri meno. Oggi voglio raccontare la storia di uno di questi “meno”, un episodio che ancora oggi, dopo dieci anni, mi fa scuotere la testa.

Si chiamava Marco, aveva diciotto anni, il petto gonfio d’orgoglio e la convinzione di sapere tutto meglio di noi vecchiacci. Ogni turno era una gara a dimostrarci che il suo metodo era migliore, più veloce, più efficiente. “Voi ci mettete troppo, fate tutto con la calma di chi aspetta la pensione” diceva. E sorrideva, tronfio, mentre noi, con pazienza, cercavamo di spiegargli che certe cose non si fanno in fretta, si fanno bene.

Una sera, mentre stavamo sistemando il magazzino, il capo gli disse di buttare la plastica. Niente di complicato: prendere i sacchi e portarli nel bidone dedicato. Ma per Marco era troppo lento, troppo noioso. “C’è un modo più rapido” avrà pensato. E così, invece di seguire le indicazioni, decise di darsi alla pirotecnica.

Andò dietro il supermercato, trovò un angolo riparato e accese un fuoco con gli imballaggi di plastica. Il problema – tra i tanti – era che non si limitò a questo. Mentre la plastica bruciava e il fumo nero saliva denso, Marco, nella sua infinita genialità, pensò bene di rendere il tutto più divertente: prese un pezzo di formaggio avanzato dal banco frigo e lo infilzò su un bastoncino, come se fosse un marshmallow da campeggio.

L’idea? Abbrustolirlo sopra il falò tossico della plastica.