Sabato mattina.
Il turno dove arrivano i clienti che non hanno fretta, ma pretendono che tu l’abbia.
A metà giro entra lui: giovane, occhiali tondi, accento vago da città. Mai visto prima.
Saluta, si guarda intorno come se fosse in un museo etnografico.
Si siede.
Io:
“Che taglio facciamo?”
Lui, deciso:
“Alla francese.”
Lo guardo.
“Alla francese… tipo?”
“Eh, come va adesso. Corto, ma con eleganza. Come quelli di Parigi.”
Ok.
Penso: facciamogli un taglio pulito, sfumatura media, fronte ordinata.
Inizio.
Lui si guarda nello specchio ogni 8 secondi, con la faccia di chi vuole dire qualcosa ma non ha il coraggio.
Poi, mentre sto passando alle basette, si blocca:
“Aspetti. Non è come pensavo.
La parte sopra non dovrebbe essere… più… tipo… a ciotola?”
Mi fermo.
“Intende il taglio ‘alla scodella’?”
“Sì. Ma francese.”
“No, quello è universale.”
Sorride.
“Comunque voglio che si noti che è fatto da un barbiere, ma anche che sembri casuale. Capisce?”
Casuale ma professionale.
Come un incidente fatto da un chirurgo.
Alla fine lo accontento come posso.
Lo pettino un po’ così, un po’ cosà.
Gli mostro lo specchio.
“Perfetto! Sembra quasi che non sia passato dal barbiere!”
Lo dice contento.
Mi paga.
Esce felice.
Un minuto dopo torna.
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